L'idea di questo numero speciale di Altre Modernità nasce dal desiderio di raccontare il rapporto tra la metodologia conosciuta come Studi culturali e l'università italiana. Già a partire dagli anni Settanta nella nostra accademia hanno operato figure di spicco, che hanno dato vita a scuole di formazione, dottorati e gruppi di ricerca. Queste si sono mosse nel solco della tradizione italiana di pensiero critico inaugurata da Gramsci, non a caso una delle figure ispiratrici dei Cultural Studies anglosassoni, e in costante dialogo con gli scenari internazionali nonché con gli ambiti affini delle lingue e delle letterature, della sociologia e dell'antropologia, della semiotica. È innegabile che la natura porosa e di frontiera di questa metodologia si trovi in difficile convivenza con il sistema universitario nazionale, soprattutto a seguito dell'introduzione dei settori scientifico-disciplinari. Da una parte, la mancanza di una precisa collocazione ha consentito agli Studi culturali italiani di rifuggire un’eccessiva istituzionalizzazione o ‘disciplinamento’ (critica peraltro attualmente mossa ai Cultural Studies, soprattutto di ambito statunitense) lasciandone libera la potenzialità creativa e, anzi, favorendo la circolazione tra differenti saperi; è pur vero però che tale ‘anarchia di base’ ne rende complessa la riconoscibilità e, insieme, il consolidamento in pratiche e modelli condivisi.

Gli Studi Culturali e l'università italiana

Guarracino S;
2017-01-01

Abstract

L'idea di questo numero speciale di Altre Modernità nasce dal desiderio di raccontare il rapporto tra la metodologia conosciuta come Studi culturali e l'università italiana. Già a partire dagli anni Settanta nella nostra accademia hanno operato figure di spicco, che hanno dato vita a scuole di formazione, dottorati e gruppi di ricerca. Queste si sono mosse nel solco della tradizione italiana di pensiero critico inaugurata da Gramsci, non a caso una delle figure ispiratrici dei Cultural Studies anglosassoni, e in costante dialogo con gli scenari internazionali nonché con gli ambiti affini delle lingue e delle letterature, della sociologia e dell'antropologia, della semiotica. È innegabile che la natura porosa e di frontiera di questa metodologia si trovi in difficile convivenza con il sistema universitario nazionale, soprattutto a seguito dell'introduzione dei settori scientifico-disciplinari. Da una parte, la mancanza di una precisa collocazione ha consentito agli Studi culturali italiani di rifuggire un’eccessiva istituzionalizzazione o ‘disciplinamento’ (critica peraltro attualmente mossa ai Cultural Studies, soprattutto di ambito statunitense) lasciandone libera la potenzialità creativa e, anzi, favorendo la circolazione tra differenti saperi; è pur vero però che tale ‘anarchia di base’ ne rende complessa la riconoscibilità e, insieme, il consolidamento in pratiche e modelli condivisi.
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