Il coinvolgimento di operatori privati, nel settore dei servizi idrici, è un’opzione pressoché inevitabile, dati gli ingenti investimenti necessari per sostituire, rinnovare e manutenere gli impianti acquedottistici: per offrire un servizio idrico di qualità ai cittadini, è necessario abbandonare le ipostatizza­zioni (la gestione pubblica meno efficiente di quella privata; la gestione privata incompatibile con il diritto fondamentale all’acqua e con la natura essenziale della risorsa idrica) e risolvere gli snodi critici che ancora caratterizzano il rapporto pubblico-privato in questo settore. Le disfunzioni sono ancora numerose e l’attribuzione delle funzioni di regolazione all’Arera ha solo parzialmente migliorato la situazione: le disfunzioni dell’interazione tra pubblico e privato sono ricadute principalmente sugli utenti. Il legislatore italiano ha inteso il rapporto pubblico-privato nei servizi idrici come occasione per contenere la spesa pubblica e ridurre la sfera pubblica: invece, per funzionare, esso presuppone una ridistribuzione di funzioni all’in­terno delle amministrazioni. Non meno spese, ma altre spese. La sottrazione di compiti operativi e gestionali deve essere compensata da una regolazione chiara e controlli nuovi e più efficaci: queste due ultime funzioni sono necessarie per tutelare gli utenti e creare le condizioni per la concorrenza (almeno “per il mercato”); altrimenti, il rapporto pubblico-privato rischia di diventare un’occasione per rimpiazzare un monopolio pubblico con uno privato, a danno degli utenti (e, nel caso dei servizi idrici, anche dell’ambiente, data la natura particolare dell’acqua). Perciò, il rapporto pubblico-privato dovrebbe essere accompagnato da investimenti nel reclutamento e nella formazione del personale e nelle dotazioni tecniche delle amministrazioni. Tutto questo, però, nel caso del servizio idrico, non è avvenuto: anzi, le poche riforme organizzative sono state collegate all’esigenza opposta di ridurre la spesa pubblica. Questo approccio ‘dimezzato’ al rapporto pubblico-privato (cioè focalizzato solo sulla natura soggettiva del gestore e non sul sistema regolatorio e organizzativo) ha reso le riforme di questi anni non sempre efficaci. Per far funzionare il rapporto pubblico-privato (indispensabile, dati gli elevati investimenti di cui il settore ha bisogno) e, più in generale, per rendere efficace e omogenea sul territorio nazionale la prestazione di questo servizio fondamentale per la vita umana, è necessario ripensare questo approccio e stabi­lire regole e controlli efficaci che tutelino gli utenti, permettano loro di influire nei processi decisionali del settore e consentano alle imprese pubbliche e private di operare in maniera efficiente, obbligandole, al contempo, a investire nella manutenzione della rete.

Pubblico e privato nei servizi idrici: snodi critici e prospettive

federico caporale
2019-01-01

Abstract

Il coinvolgimento di operatori privati, nel settore dei servizi idrici, è un’opzione pressoché inevitabile, dati gli ingenti investimenti necessari per sostituire, rinnovare e manutenere gli impianti acquedottistici: per offrire un servizio idrico di qualità ai cittadini, è necessario abbandonare le ipostatizza­zioni (la gestione pubblica meno efficiente di quella privata; la gestione privata incompatibile con il diritto fondamentale all’acqua e con la natura essenziale della risorsa idrica) e risolvere gli snodi critici che ancora caratterizzano il rapporto pubblico-privato in questo settore. Le disfunzioni sono ancora numerose e l’attribuzione delle funzioni di regolazione all’Arera ha solo parzialmente migliorato la situazione: le disfunzioni dell’interazione tra pubblico e privato sono ricadute principalmente sugli utenti. Il legislatore italiano ha inteso il rapporto pubblico-privato nei servizi idrici come occasione per contenere la spesa pubblica e ridurre la sfera pubblica: invece, per funzionare, esso presuppone una ridistribuzione di funzioni all’in­terno delle amministrazioni. Non meno spese, ma altre spese. La sottrazione di compiti operativi e gestionali deve essere compensata da una regolazione chiara e controlli nuovi e più efficaci: queste due ultime funzioni sono necessarie per tutelare gli utenti e creare le condizioni per la concorrenza (almeno “per il mercato”); altrimenti, il rapporto pubblico-privato rischia di diventare un’occasione per rimpiazzare un monopolio pubblico con uno privato, a danno degli utenti (e, nel caso dei servizi idrici, anche dell’ambiente, data la natura particolare dell’acqua). Perciò, il rapporto pubblico-privato dovrebbe essere accompagnato da investimenti nel reclutamento e nella formazione del personale e nelle dotazioni tecniche delle amministrazioni. Tutto questo, però, nel caso del servizio idrico, non è avvenuto: anzi, le poche riforme organizzative sono state collegate all’esigenza opposta di ridurre la spesa pubblica. Questo approccio ‘dimezzato’ al rapporto pubblico-privato (cioè focalizzato solo sulla natura soggettiva del gestore e non sul sistema regolatorio e organizzativo) ha reso le riforme di questi anni non sempre efficaci. Per far funzionare il rapporto pubblico-privato (indispensabile, dati gli elevati investimenti di cui il settore ha bisogno) e, più in generale, per rendere efficace e omogenea sul territorio nazionale la prestazione di questo servizio fondamentale per la vita umana, è necessario ripensare questo approccio e stabi­lire regole e controlli efficaci che tutelino gli utenti, permettano loro di influire nei processi decisionali del settore e consentano alle imprese pubbliche e private di operare in maniera efficiente, obbligandole, al contempo, a investire nella manutenzione della rete.
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