Tra le scrittrici “dimenticate” del secolo XVII, Margherita Costa (1600 ca.-1657) si distingue per la sua copiosissima e articolata produzione e per i toni, scanzonati e lucidi, con cui rivendica l’indipendenza femminile. La professione di cantante e virtuosa le consente di ottenere una certa autonomia e libertà nel contesto misogino seicentesco; la sua produzione risulta anomala a livello quantitativo e tematico sia se confrontata con quella delle contemporanee sia in quanto esempio di partecipazione attiva al consesso letterario in un contesto socio-politico in cui la scrittura femminile era in declino. Infatti, nel suo vastissimo corpus si possono riconoscere diversi generi: lirico, prosaico, storico, religioso, epistolare, drammatico (comico, mitologico, pastorale), attraverso i quali la poetessa non solo dimostra la sua versatilità, ma anche la capacità di usare registri diversi che oscillano tra il comico e il tragico, la satira e l’encomio, l’aulico e l’erotico. Eppure, l’intera produzione della Costa, nonostante gli elementi di novità e i messaggi moderni proposti, non ha goduto di fortuna critica. Anzi, «dal silenzio ha tutto da guadagnare» scriveva Dante Bianchi (1925: 211), condannando di fatto alla polvere degli scaffali dimenticati una delle più prolifiche e vivaci scrittrici del XVII secolo. Né meno impietosi sono stati i successivi lettori della virtuosa romana, come Martino Capucci che riconosceva alla sua copiosa produzione un interesse esclusivamente sociologico, perché «i soli tratti di qualche efficacia [sono] quelli dove erompe una aperta lubricità che si direbbe professionale» (CAPUCCI 1984, 233). Gliultimi decenni, tuttavia, nell’ambito di una rinnovata attenzione critica alla scrittura femminile del XVII secolo, hanno segnato finalmente un’inversione di tendenza e i primi lavori monografici e le prime edizioni critiche hanno evidenziato la necessità di una riscoperta della poliedrica produzione della poetessa romana.

Margherita Costa, la poetessa virtuosa

V. Merola
;
M. Di Maro
2021-01-01

Abstract

Tra le scrittrici “dimenticate” del secolo XVII, Margherita Costa (1600 ca.-1657) si distingue per la sua copiosissima e articolata produzione e per i toni, scanzonati e lucidi, con cui rivendica l’indipendenza femminile. La professione di cantante e virtuosa le consente di ottenere una certa autonomia e libertà nel contesto misogino seicentesco; la sua produzione risulta anomala a livello quantitativo e tematico sia se confrontata con quella delle contemporanee sia in quanto esempio di partecipazione attiva al consesso letterario in un contesto socio-politico in cui la scrittura femminile era in declino. Infatti, nel suo vastissimo corpus si possono riconoscere diversi generi: lirico, prosaico, storico, religioso, epistolare, drammatico (comico, mitologico, pastorale), attraverso i quali la poetessa non solo dimostra la sua versatilità, ma anche la capacità di usare registri diversi che oscillano tra il comico e il tragico, la satira e l’encomio, l’aulico e l’erotico. Eppure, l’intera produzione della Costa, nonostante gli elementi di novità e i messaggi moderni proposti, non ha goduto di fortuna critica. Anzi, «dal silenzio ha tutto da guadagnare» scriveva Dante Bianchi (1925: 211), condannando di fatto alla polvere degli scaffali dimenticati una delle più prolifiche e vivaci scrittrici del XVII secolo. Né meno impietosi sono stati i successivi lettori della virtuosa romana, come Martino Capucci che riconosceva alla sua copiosa produzione un interesse esclusivamente sociologico, perché «i soli tratti di qualche efficacia [sono] quelli dove erompe una aperta lubricità che si direbbe professionale» (CAPUCCI 1984, 233). Gliultimi decenni, tuttavia, nell’ambito di una rinnovata attenzione critica alla scrittura femminile del XVII secolo, hanno segnato finalmente un’inversione di tendenza e i primi lavori monografici e le prime edizioni critiche hanno evidenziato la necessità di una riscoperta della poliedrica produzione della poetessa romana.
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