La piena consapevolezza di una scelta linguistica dialettale alterativa alla tradizione linguistica toscana si sviluppa – come già aveva notato Benedetto Croce – solo dopo la codificazione bembesca. Il dialetto, selezionato per la sua corposità e modellato sulla misura dello stile barocco, è proposto come un antidoto vitalizzante rispetto a prodotti letterari italiani non sempre originali, come una valida alternativa all’artificiosa lingua letteraria toscana. Su questa linea – inaugurata da Cortese e Basile – si inserisce la voce di Giambattista Valentino, un «povero scrivano» della seconda generazione di poeti, che tra moralismo e biasimo descrive ciò che accade nei suoi anni nella sua amata città. Nei tre poemetti in ottava rima – La Mezacanna co lo vasciello dell’Arbascia (1660), Napole scontraffatto dapò la peste (1665) e La Cecala Napoletana (1674) – Valentino affronta spesso la questione della lingua: nella finzione poetica dei suoi versi, in cui si alternano dialetto, lingua e latino, entra nella impegnativa disputa contro l’Accademia della Crusca. Il contributo propone di ricostruire gli scontri verso la cultura dominante di natura linguistica e socio-culturale, che si leggono tra i versi di Valentino, finalizzati alla costruzione della sua identità di poeta e alla rivendicazione del suo valore.
«È pazzo chi parlare vò toscano/quanno chillo ‘n Toscana non è nato»: scontri linguistici e socio- culturali per la definizione dell’identità poetica
DI MARO, MARIA
2019-01-01
Abstract
La piena consapevolezza di una scelta linguistica dialettale alterativa alla tradizione linguistica toscana si sviluppa – come già aveva notato Benedetto Croce – solo dopo la codificazione bembesca. Il dialetto, selezionato per la sua corposità e modellato sulla misura dello stile barocco, è proposto come un antidoto vitalizzante rispetto a prodotti letterari italiani non sempre originali, come una valida alternativa all’artificiosa lingua letteraria toscana. Su questa linea – inaugurata da Cortese e Basile – si inserisce la voce di Giambattista Valentino, un «povero scrivano» della seconda generazione di poeti, che tra moralismo e biasimo descrive ciò che accade nei suoi anni nella sua amata città. Nei tre poemetti in ottava rima – La Mezacanna co lo vasciello dell’Arbascia (1660), Napole scontraffatto dapò la peste (1665) e La Cecala Napoletana (1674) – Valentino affronta spesso la questione della lingua: nella finzione poetica dei suoi versi, in cui si alternano dialetto, lingua e latino, entra nella impegnativa disputa contro l’Accademia della Crusca. Il contributo propone di ricostruire gli scontri verso la cultura dominante di natura linguistica e socio-culturale, che si leggono tra i versi di Valentino, finalizzati alla costruzione della sua identità di poeta e alla rivendicazione del suo valore.Pubblicazioni consigliate
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