Fino alla metà degli anni Novanta, le ricerche sui flussi migratori dall’Africa all’Unione Europea erano prevalentemente focalizzate sugli effetti nelle società d’approdo. L’aver messo in secondo piano le condizioni sociali nei territori d’origine aveva portato a sottovalutare i motivi che inducevano i migranti a partire. Nasce da qui l’esigenza di adottare un punto di vista che concentra l’attenzione sui paesi africani: tra i due poli dell’Europa e dell’Africa cominciano ad assumere un’importanza strategica gli spazi di transito, di contatto, di redistribuzione – tappe di circuiti sempre più articolati, capaci di porre in connessione i flussi migratori che interessano i paesi africani con le traiettorie dei migranti che mirano a raggiungere le nazioni europee. Sul finire del Novecento gli immigrati africani accolti dall’Unione Europea erano, nella loro stragrande maggioranza, d’origine maghrebina e avevano scelto destinazioni sia nel nord Europa sia in paesi europei affacciati sul Mediterraneo. Tra gli africani subsahariani, i senegalesi privilegiavano la Francia, i nigeriani e i ghanesi si orientavano verso il Regno Unito, i capoverdiani si trasferivano preferibilmente in Portogallo, i congolesi si distribuivano tra Belgio, Francia e Germania. In Italia, dieci anni più tardi, le presenze africane regolari sono risultate pari a circa il 23% dei cittadini stranieri residenti sul territorio nazionale, con un’incidenza dell’1,5% sulla popolazione italiana. Gli uomini erano ancora largamente prevalenti rispetto alle donne, mentre la più gran parte dei migranti africani in Italia proveniva dalla fascia settentrionale del continente (70% circa), con un predominio schiacciante dei marocchini, seguiti dai tunisini. Tra le maggiori comunità straniere in Italia provenienti dall’Africa subsahariana si collocavano i senegalesi, i nigeriani e i ganesi. In questo quadro, sia nei territori d’origine che in quelli d’accoglienza, l’immigrato non è classificabile in una categoria specifica in quanto è privo di una precisa collocazione sociale: sempre senza luogo perché non è mai dove vorrebbe essere, spesso fuori luogo perché è ritenuto inopportuno, presenza sconveniente per una svariata serie di motivi, il migrante è atopos. La continua sensazione di estraneità al territorio d’immigrazione e la duratura assenza dai luoghi ai quali il migrante continua a sentirsi appartenente determinano le condizioni per il riconoscimento di “spazi transnazionali”. Nodi di reti socialmente condivisi, questi spazi si aprono all’intreccio tra le geografie materiali basate sui motivi di lavoro generate dai migranti e le geografie immateriali con cui essi attribuiscono significati simbolici al mondo reale. Tali spazi transnazionali diventano punti di riferimento che, rinviando a condizioni culturali mutate e in movimento, alimentano una nuova riproduzione sociale capace di ricollocare le dinamiche identitarie e territoriali su di un piano non nazionale. Gli spazi transnazionali mettono in collegamento le reti globali con le comunità locali, garantendo ai migranti margini d’azione che permettono loro di ancorarsi in alcuni luoghi e di appropriarsene socialmente. Nel nostro presente fatto di una miriade di conflitti, in questi luoghi della frontiera connotati da presenze e assenze, estraneità e appartenenze, vivono i migranti.
Per una geografia delle migrazioni africane internazionali
GAFFURI, LUIGI
2010-01-01
Abstract
Fino alla metà degli anni Novanta, le ricerche sui flussi migratori dall’Africa all’Unione Europea erano prevalentemente focalizzate sugli effetti nelle società d’approdo. L’aver messo in secondo piano le condizioni sociali nei territori d’origine aveva portato a sottovalutare i motivi che inducevano i migranti a partire. Nasce da qui l’esigenza di adottare un punto di vista che concentra l’attenzione sui paesi africani: tra i due poli dell’Europa e dell’Africa cominciano ad assumere un’importanza strategica gli spazi di transito, di contatto, di redistribuzione – tappe di circuiti sempre più articolati, capaci di porre in connessione i flussi migratori che interessano i paesi africani con le traiettorie dei migranti che mirano a raggiungere le nazioni europee. Sul finire del Novecento gli immigrati africani accolti dall’Unione Europea erano, nella loro stragrande maggioranza, d’origine maghrebina e avevano scelto destinazioni sia nel nord Europa sia in paesi europei affacciati sul Mediterraneo. Tra gli africani subsahariani, i senegalesi privilegiavano la Francia, i nigeriani e i ghanesi si orientavano verso il Regno Unito, i capoverdiani si trasferivano preferibilmente in Portogallo, i congolesi si distribuivano tra Belgio, Francia e Germania. In Italia, dieci anni più tardi, le presenze africane regolari sono risultate pari a circa il 23% dei cittadini stranieri residenti sul territorio nazionale, con un’incidenza dell’1,5% sulla popolazione italiana. Gli uomini erano ancora largamente prevalenti rispetto alle donne, mentre la più gran parte dei migranti africani in Italia proveniva dalla fascia settentrionale del continente (70% circa), con un predominio schiacciante dei marocchini, seguiti dai tunisini. Tra le maggiori comunità straniere in Italia provenienti dall’Africa subsahariana si collocavano i senegalesi, i nigeriani e i ganesi. In questo quadro, sia nei territori d’origine che in quelli d’accoglienza, l’immigrato non è classificabile in una categoria specifica in quanto è privo di una precisa collocazione sociale: sempre senza luogo perché non è mai dove vorrebbe essere, spesso fuori luogo perché è ritenuto inopportuno, presenza sconveniente per una svariata serie di motivi, il migrante è atopos. La continua sensazione di estraneità al territorio d’immigrazione e la duratura assenza dai luoghi ai quali il migrante continua a sentirsi appartenente determinano le condizioni per il riconoscimento di “spazi transnazionali”. Nodi di reti socialmente condivisi, questi spazi si aprono all’intreccio tra le geografie materiali basate sui motivi di lavoro generate dai migranti e le geografie immateriali con cui essi attribuiscono significati simbolici al mondo reale. Tali spazi transnazionali diventano punti di riferimento che, rinviando a condizioni culturali mutate e in movimento, alimentano una nuova riproduzione sociale capace di ricollocare le dinamiche identitarie e territoriali su di un piano non nazionale. Gli spazi transnazionali mettono in collegamento le reti globali con le comunità locali, garantendo ai migranti margini d’azione che permettono loro di ancorarsi in alcuni luoghi e di appropriarsene socialmente. Nel nostro presente fatto di una miriade di conflitti, in questi luoghi della frontiera connotati da presenze e assenze, estraneità e appartenenze, vivono i migranti.Pubblicazioni consigliate
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