Nella più recente e consolidata tradizione criminologica, si suole distinguere tra due orientamenti, rispettivamente denominati strutturalista e pragmatista. In base al primo è l’appartenenza collettiva a discriminare probabilisticamente tra comportamenti favorevoli e comportamenti sfavorevoli al compimento di reati. Appartenenza collettiva, evidentemente operazionalizzata nei termini di un orizzonte di variabili al riguardo chiamate in gioco: estrazione sociale, nazionalità, etnia, socializzazione, ecc. In base al secondo orientamento, invece, sono le pratiche condizioni di «disponibilità» e «opportunità» del reato a deporre a favore della probabilità che venga commesso, secondo una principio di sostanziale incidenza della prospettiva di azione in termini di costi-benefici o, in altre parole, di «razionalità conseguenzialista». Ci sono naturalmente fattori di imputazione causale che si trovano al confine fra i due indirizzi, potendosi far valere, fattori del genere, sia come variabili strutturali sia come costituenti di una contingenza pragmatica: per esempio, l’elemento stesso dell’estrazione sociale, così come quello dell’occupazione e della condizione lavorativa. A partire da queste premesse, ad un tempo teoriche e problematiche, gli interrogativi che esse sollevano vengono riferiti all’attuale dibattito sull’immigrazione, ove i dati sulla criminalità appaiono come uno dei temi al tempo stesso più rilevante e più controverso, anche all’interno della stessa comunità scientifica. Infatti, di fronte alle ripetute equazioni tra aumento della criminalità e aumento dell’immigrazione, l’analisi dinamica del fenomeno non sembra prestarsi a una considerazione univoca di tale connessione causale. Muovendo dalla constatazione emersa ormai da numerose indagini empiriche, del legame immigrazione-criminalità-cronaca dei media, si analizzano qui le statistiche e le cifre sulla criminalità degli immigrati nel nostro paese, allo scopo di verificare l’effettiva consistenza del rapporto fra i due termini, anche alla luce degli interventi legislativi e dei dati messi a disposizione dalle istituzioni, ma soprattutto nell’intento di mostrare, entro tale ambito tematico, i limiti di interpretazioni puramente strutturaliste dei fenomeni in indagine, con importanti ricadute di ciò dal lato delle politiche di prevenzione della criminalità. Anche a questo scopo, il testo si conclude con la proposta e l’esemplificazione dell’impiego di uno strumento, quello della modellizzazione simulativa, idoneo a una controllabilità empirica prospettica delle misure di intervento sul piano criminologico, con particolare riguardo alla istanza di contenimento della recidività penale.
Le «ragioni» del crimine. Devianza e razionalità soggettiva
LAURANO, PATRIZIA;
2014-01-01
Abstract
Nella più recente e consolidata tradizione criminologica, si suole distinguere tra due orientamenti, rispettivamente denominati strutturalista e pragmatista. In base al primo è l’appartenenza collettiva a discriminare probabilisticamente tra comportamenti favorevoli e comportamenti sfavorevoli al compimento di reati. Appartenenza collettiva, evidentemente operazionalizzata nei termini di un orizzonte di variabili al riguardo chiamate in gioco: estrazione sociale, nazionalità, etnia, socializzazione, ecc. In base al secondo orientamento, invece, sono le pratiche condizioni di «disponibilità» e «opportunità» del reato a deporre a favore della probabilità che venga commesso, secondo una principio di sostanziale incidenza della prospettiva di azione in termini di costi-benefici o, in altre parole, di «razionalità conseguenzialista». Ci sono naturalmente fattori di imputazione causale che si trovano al confine fra i due indirizzi, potendosi far valere, fattori del genere, sia come variabili strutturali sia come costituenti di una contingenza pragmatica: per esempio, l’elemento stesso dell’estrazione sociale, così come quello dell’occupazione e della condizione lavorativa. A partire da queste premesse, ad un tempo teoriche e problematiche, gli interrogativi che esse sollevano vengono riferiti all’attuale dibattito sull’immigrazione, ove i dati sulla criminalità appaiono come uno dei temi al tempo stesso più rilevante e più controverso, anche all’interno della stessa comunità scientifica. Infatti, di fronte alle ripetute equazioni tra aumento della criminalità e aumento dell’immigrazione, l’analisi dinamica del fenomeno non sembra prestarsi a una considerazione univoca di tale connessione causale. Muovendo dalla constatazione emersa ormai da numerose indagini empiriche, del legame immigrazione-criminalità-cronaca dei media, si analizzano qui le statistiche e le cifre sulla criminalità degli immigrati nel nostro paese, allo scopo di verificare l’effettiva consistenza del rapporto fra i due termini, anche alla luce degli interventi legislativi e dei dati messi a disposizione dalle istituzioni, ma soprattutto nell’intento di mostrare, entro tale ambito tematico, i limiti di interpretazioni puramente strutturaliste dei fenomeni in indagine, con importanti ricadute di ciò dal lato delle politiche di prevenzione della criminalità. Anche a questo scopo, il testo si conclude con la proposta e l’esemplificazione dell’impiego di uno strumento, quello della modellizzazione simulativa, idoneo a una controllabilità empirica prospettica delle misure di intervento sul piano criminologico, con particolare riguardo alla istanza di contenimento della recidività penale.Pubblicazioni consigliate
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.