Il Corpus Theognideum, ovvero la raccolta di carmi trasmessaci sotto il nome di Teognide, è una delle opere di età arcaica che si contraddistingue per la polimorfia della sua autorialità. Il corpus consta infatti di 1389 versi ripartiti in due libri, ma tra questi solo quelli che appartengono alla cosiddetta “elegia del sigillo” (vv. 19-26) possono essere attribuiti con certezza a Teognide. Lo studio proposto nasce dall’interesse di portare alla luce, laddove possibile, le ulteriori voci autoriali dell’opera, che, al contrario di Teognide, sono andate incontro ad un destino di sommersione ed oblio. Aderendo a questa prospettiva di ricerca, si proporrà la lettura dei vv. 469; 503; 511; 667; 693; 923; 993; 1058; 1085 e 1349. In parallelo all’analisi di questa scelta di versi, si individueranno le ulteriori spie presenti nell’impalcatura stessa dell’opera (come la presenza di coppie di versi simposiali e agonali, la presenza di carmi estrapolati da corpora circolanti sotto il nome di altri autori), che forniscono altri elementi per l’individuazione del carattere polifonico del Corpus. Grazie alle osservazioni prodotte dall’analisi di questi elementi presenti nella raccolta teognidea, sarà possibile dimostrare come alcune opere di età arcaica e classica, lette oggi da noi moderni come agglomerati di versi statici che riflettono l’autorialità di un singolo poeta, dovrebbero essere rilette come opere polifoniche, come espressioni del pensiero di una comunità, di un intero circolo sociale. Riuscire in questo intento porterebbe a rivalutare (senza alcun intento di screditare) la figura del poeta nell’età arcaica, a tentare di comprendere secondo quali meccanismi sociali (o editoriali di epoche successive) alcuni poeti erano destinati ad emergere ed altri a rimanere nell’ombra e, nella maggior parte dei casi, a scomparire.

Il Corpus Theognideum, decostruzione del concetto di autore

Sara Elleboro
In corso di stampa

Abstract

Il Corpus Theognideum, ovvero la raccolta di carmi trasmessaci sotto il nome di Teognide, è una delle opere di età arcaica che si contraddistingue per la polimorfia della sua autorialità. Il corpus consta infatti di 1389 versi ripartiti in due libri, ma tra questi solo quelli che appartengono alla cosiddetta “elegia del sigillo” (vv. 19-26) possono essere attribuiti con certezza a Teognide. Lo studio proposto nasce dall’interesse di portare alla luce, laddove possibile, le ulteriori voci autoriali dell’opera, che, al contrario di Teognide, sono andate incontro ad un destino di sommersione ed oblio. Aderendo a questa prospettiva di ricerca, si proporrà la lettura dei vv. 469; 503; 511; 667; 693; 923; 993; 1058; 1085 e 1349. In parallelo all’analisi di questa scelta di versi, si individueranno le ulteriori spie presenti nell’impalcatura stessa dell’opera (come la presenza di coppie di versi simposiali e agonali, la presenza di carmi estrapolati da corpora circolanti sotto il nome di altri autori), che forniscono altri elementi per l’individuazione del carattere polifonico del Corpus. Grazie alle osservazioni prodotte dall’analisi di questi elementi presenti nella raccolta teognidea, sarà possibile dimostrare come alcune opere di età arcaica e classica, lette oggi da noi moderni come agglomerati di versi statici che riflettono l’autorialità di un singolo poeta, dovrebbero essere rilette come opere polifoniche, come espressioni del pensiero di una comunità, di un intero circolo sociale. Riuscire in questo intento porterebbe a rivalutare (senza alcun intento di screditare) la figura del poeta nell’età arcaica, a tentare di comprendere secondo quali meccanismi sociali (o editoriali di epoche successive) alcuni poeti erano destinati ad emergere ed altri a rimanere nell’ombra e, nella maggior parte dei casi, a scomparire.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11697/230141
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