Nel titolo, come è evidente, già sono contenuti il senso di una mancanza e la denuncia di questa mancanza. Non c’è bellezza in questa nostra so-cietà poiché oggi, come sottolinea Paul Virilio, «una crisi è in atto», e si tratta di una crisi di «referenze etiche ed estetiche» 1. La bellezza ha lo stigma dell’unità valoriale, cioè culturale ed intellettuale, civile in senso lato. Risiede oltre l’apparire, che a sé riduce ogni essenzialità; appartiene ad un oltre lo storico-temporale, che a sé riduce, senza magari averne neppure consapevolezza, ogni significato profondo, di per sé irriducibile, certamente non riassumibile, nella evanescenza di quegli atti che conno-tano la nostra esperienza quotidiana medesima. Certo, non è né pretesa né interesse di questo libro definire, per l’enne-sima volta ancóra, cosa si intenda per bellezza. E del resto, natura di essa, come vedremo, è proprio l’impossibilità di una definizione: sappiamo meglio che cosa essa non sia, ma solo per via allusiva ed indiretta pos-siamo dire che cosa sia. Questo libro, invece, che mette a confronto e ad interazione due esperienze di riflessione e di scrittura differenti, si pone l’obiettivo, seducente ed insieme ardito, di andare alla ricerca di quelle manifestazioni di bellezza, e di bellezza mancata, che oggi tratteggiano, in forme di non immediata evidenza, oppure in forme di conclamata tra-sparenza, i comportamenti umani nel loro spazio di vita. Da qui, tenta di capire come tali forme siano andate manifestandosi nelle arti visive e, in particolar modo, come abbiano modificato e influito sull’architettura dei luoghi che abitiamo e, di conseguenza, sui rapporti sociali. Gli ultimi due secoli sono stati caratterizzati da profonde e sempre più repentine trasformazioni, sia sociali che tecniche, spesso le une dipenden-ti dalle altre. Quanto abbiamo scritto vuole così configurarsi come un percorso di esplorazione e comprensione di tali dinamiche, partendo da un caso emblematico, sia per le discipline architettoniche che per la socie-tà nel suo insieme: la costruzione del Palazzo di Cristallo di Paxton, che nella metà del XIX secolo diede vita ad una profonda cesura rispetto al tradizionale modo di costruire e di percepire l’ambiente abitato. Così, se la Rivoluzione Industriale aveva spostato l’attenzione sull’utilizzo di ma-teriali come il ferro e il vetro, originando la cosiddetta civiltà della tra-sparenza, oggi, con la rivoluzione telematica e il dilagare delle reti mul-timediali, la Città ha perso la sua conformazione classica, che la vedeva definita all’interno di confini ben leggibili, lasciando tuttavia i propri abi-tanti non di rado privi di punti di riferimento. Abbiamo voluto che interagissero tra loro e si compenetrassero due ot-tiche specifiche, due sguardi apparentemente distanti nel loro medesimo procedere e tuttavia accomunati da una pari esigenza al contempo analiti-ca, di denuncia e propositiva: l’uno, legato al mondo dell’architettura, dell’urbanistica e del recupero, l’altro a quello antropologico e filosofico. Si è, in altre parole, cercato di disegnare un quadro d’insieme del con-temporaneo rapporto tra la Città e l’uomo, alla luce del disumanarsi stes-so della Città tardo-moderna e secondo la prospettiva di un recupero di una “umanità” che sembra connotare la trama medesima di ciò che po-tremmo chiamare Città storica, intesa come portatrice di identità culturale e di valori, cioè di quella unità valoriale di cui si parlava. La domanda di fondo del presente volume è insomma questa: cosa può determinare la perdita di una tale unità, come appunto si registra nella cit-tà globalizzata la quale, svuotata di antica memoria, stenta a creare luoghi belli da vivere? Quali sono le conseguenze morali, sociali e urbanistiche dell’incapacità odierna di leggere e pretendere la bellezza?

La bellezza che non c'è. L'uomo e la città.

Marchionni C.
2020-01-01

Abstract

Nel titolo, come è evidente, già sono contenuti il senso di una mancanza e la denuncia di questa mancanza. Non c’è bellezza in questa nostra so-cietà poiché oggi, come sottolinea Paul Virilio, «una crisi è in atto», e si tratta di una crisi di «referenze etiche ed estetiche» 1. La bellezza ha lo stigma dell’unità valoriale, cioè culturale ed intellettuale, civile in senso lato. Risiede oltre l’apparire, che a sé riduce ogni essenzialità; appartiene ad un oltre lo storico-temporale, che a sé riduce, senza magari averne neppure consapevolezza, ogni significato profondo, di per sé irriducibile, certamente non riassumibile, nella evanescenza di quegli atti che conno-tano la nostra esperienza quotidiana medesima. Certo, non è né pretesa né interesse di questo libro definire, per l’enne-sima volta ancóra, cosa si intenda per bellezza. E del resto, natura di essa, come vedremo, è proprio l’impossibilità di una definizione: sappiamo meglio che cosa essa non sia, ma solo per via allusiva ed indiretta pos-siamo dire che cosa sia. Questo libro, invece, che mette a confronto e ad interazione due esperienze di riflessione e di scrittura differenti, si pone l’obiettivo, seducente ed insieme ardito, di andare alla ricerca di quelle manifestazioni di bellezza, e di bellezza mancata, che oggi tratteggiano, in forme di non immediata evidenza, oppure in forme di conclamata tra-sparenza, i comportamenti umani nel loro spazio di vita. Da qui, tenta di capire come tali forme siano andate manifestandosi nelle arti visive e, in particolar modo, come abbiano modificato e influito sull’architettura dei luoghi che abitiamo e, di conseguenza, sui rapporti sociali. Gli ultimi due secoli sono stati caratterizzati da profonde e sempre più repentine trasformazioni, sia sociali che tecniche, spesso le une dipenden-ti dalle altre. Quanto abbiamo scritto vuole così configurarsi come un percorso di esplorazione e comprensione di tali dinamiche, partendo da un caso emblematico, sia per le discipline architettoniche che per la socie-tà nel suo insieme: la costruzione del Palazzo di Cristallo di Paxton, che nella metà del XIX secolo diede vita ad una profonda cesura rispetto al tradizionale modo di costruire e di percepire l’ambiente abitato. Così, se la Rivoluzione Industriale aveva spostato l’attenzione sull’utilizzo di ma-teriali come il ferro e il vetro, originando la cosiddetta civiltà della tra-sparenza, oggi, con la rivoluzione telematica e il dilagare delle reti mul-timediali, la Città ha perso la sua conformazione classica, che la vedeva definita all’interno di confini ben leggibili, lasciando tuttavia i propri abi-tanti non di rado privi di punti di riferimento. Abbiamo voluto che interagissero tra loro e si compenetrassero due ot-tiche specifiche, due sguardi apparentemente distanti nel loro medesimo procedere e tuttavia accomunati da una pari esigenza al contempo analiti-ca, di denuncia e propositiva: l’uno, legato al mondo dell’architettura, dell’urbanistica e del recupero, l’altro a quello antropologico e filosofico. Si è, in altre parole, cercato di disegnare un quadro d’insieme del con-temporaneo rapporto tra la Città e l’uomo, alla luce del disumanarsi stes-so della Città tardo-moderna e secondo la prospettiva di un recupero di una “umanità” che sembra connotare la trama medesima di ciò che po-tremmo chiamare Città storica, intesa come portatrice di identità culturale e di valori, cioè di quella unità valoriale di cui si parlava. La domanda di fondo del presente volume è insomma questa: cosa può determinare la perdita di una tale unità, come appunto si registra nella cit-tà globalizzata la quale, svuotata di antica memoria, stenta a creare luoghi belli da vivere? Quali sono le conseguenze morali, sociali e urbanistiche dell’incapacità odierna di leggere e pretendere la bellezza?
2020
978-88-8410-309-3
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11697/232740
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