IL NUOVO PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’ IN ARCHITETTURA Di Francesco Giancola INTRODUZIONE Sergio Rotondi Abstract L’attuale condizione complessa dell’architettura, oltre che a una serie di fattori “materiali”, interrelati fra loro, rimanda a un più generale carattere del presente. La complessità, infatti, è il concetto che meglio esprime sinteticamente la nostra condizione postmoderna: complessità del reale, complessità di conoscere, governare e vivere la molteplicità e le differenze. L’architettura ha così perseguito approcci inclusivi, contrapposti al carattere deterministico ed esclusivo del moderno, in particolare del funzionalismo razionalista. La questione si è definita in particolare, nella problematica, dominante nella seconda metà del XX secolo, dell’architettura della città, cui dettero importanti, e contrastanti, contributi Louis Kahn, Robert Venturi, Carlo Aymonio e Aldo Rossi. Anche la tendenza eclettico-storicistica, quella indicata tout-court come post-modernismo architettonico, ha presentato al riguardo più facce. In particolare nel caso di James Stirling i segni e il sapere del passato erano “materiali” di un “gioco” che mischiava caos del quotidiano e caos della storia. Esempio forse insuperato resta la ricostruzione della zona lungo la Konrad Adenauer Strasse a Stoccarda di James Stirling, con l’ampliamento della Staatsgalerie con il nuovo complesso teatrale-musicale. Particolarmente interessante è anche la ricerca neo-modernista di Richard Meier, incentrata sul razionalismo purista di Le Corbusier e Terragni, che ha mostrato, in particole, come, anche nei casi più delicati di trasformazione di un luogo, la pregnanza del risultato possa prescindere dall’assonanza e omogeneità linguistica fra nuovo e contesto. E, in questo intento, la stessa spazialità e lo stesso linguaggio di riferimento sono stati da Meier alquanto estesi, risolti in un’ardita ibridazione sia col “brutalismo” sia con la “decostruzione” neoplastica. C’è da notare che l’insegnamento di Le Corbusier sullo spazio come luogo di armonico e drammatico conflitto, di coagulo di “differenze”, è stato, ed è ancora, fondamentale, e non solo e non tanto per quegli architetti, come Meier, che ne assumono anche l’aspetto linguistico-espressivo. Lo spazio “ludico” di Stirling, parafrasa quello “indicibile” lecorbusierano, proponendone sostanzialmente gli stessi principi, ad esempio, oltre alla pianta libera, quello dei “tracciati regolatori”. . L’architettura di Rem Koolhaas, basata su contrasti duri e secchi, privi di affettività ma affascinanti per la loro fredda mirabolanza, sembra l’anello di connessione fra la complessità architettonica giocata sulla metafora urbana, degli anni ’60-90 e i più recenti, nuovi orientamenti. Molto chiaro al proposito è stato il percorso di Peter Eisenman, teso a prefigurare per l’architettura un ruolo culturale alternativo a quello tradizionale, “rappresentativo” di ordine e razionalità. Dopo aver rivisitato il razionalismo di Terragni in chiave di caos sintattico, Eisenman ha centrato il problema principale ma “rimosso”, dell’architettura: quello della visione. Il “classico” impianto spaziale, su basi prospettiche, non corrisponde più alle nuove sensibilità visive indotte dai media elettronici: noi ora vediamo forme “sfocate”, rispetto al preesistente, al contesto, ma fortemente emozionali. Su basi culturali simili operano tendenze di larga presa internazionale che, rimossi oltre alla storia anche i linguaggi e le scritture, lavorano, in particolare, su ammassi energetici, fluttuanti, formanti spazio e materia magmatica, informe o cristallizzata, la cui definizione in alcune, più ardite sperimentazioni è demandata in modo casuale al Dio- computer. Nei paesaggi di Zaha Hadid, di Un Studio, di Eisenman, di Libeskind, e anche in parte di Ghery, gli elementi del contesto preesistente tendono a funzionare come testimoni, a volte attoniti, di una epifania dell’origine. Inoltre, questa produzione persegue una suadente risonanza con i sensi dei fruitori; oltre ad una coinvolgente articolazione spaziale, presenta spesso soluzioni di finitura sofisticate, connesse a un uso tecnologicamente aggiornato di materiali: filigrane, vibrazioni, effetti cangianti…, abilmente riecheggianti un mondo fenomenico di là dal contingente. La fascinazione è accentuata dai veicoli principali delle immagini architettoniche: i siti internet e le riviste specializzate, per cui, specie presso i giovani, il fenomeno tende a essere assimilato in modo fondamentalmente istintuale.

Trame di complessità tra modernità ed attualità

ROTONDI, SERGIO
2006-01-01

Abstract

IL NUOVO PARADIGMA DELLA COMPLESSITA’ IN ARCHITETTURA Di Francesco Giancola INTRODUZIONE Sergio Rotondi Abstract L’attuale condizione complessa dell’architettura, oltre che a una serie di fattori “materiali”, interrelati fra loro, rimanda a un più generale carattere del presente. La complessità, infatti, è il concetto che meglio esprime sinteticamente la nostra condizione postmoderna: complessità del reale, complessità di conoscere, governare e vivere la molteplicità e le differenze. L’architettura ha così perseguito approcci inclusivi, contrapposti al carattere deterministico ed esclusivo del moderno, in particolare del funzionalismo razionalista. La questione si è definita in particolare, nella problematica, dominante nella seconda metà del XX secolo, dell’architettura della città, cui dettero importanti, e contrastanti, contributi Louis Kahn, Robert Venturi, Carlo Aymonio e Aldo Rossi. Anche la tendenza eclettico-storicistica, quella indicata tout-court come post-modernismo architettonico, ha presentato al riguardo più facce. In particolare nel caso di James Stirling i segni e il sapere del passato erano “materiali” di un “gioco” che mischiava caos del quotidiano e caos della storia. Esempio forse insuperato resta la ricostruzione della zona lungo la Konrad Adenauer Strasse a Stoccarda di James Stirling, con l’ampliamento della Staatsgalerie con il nuovo complesso teatrale-musicale. Particolarmente interessante è anche la ricerca neo-modernista di Richard Meier, incentrata sul razionalismo purista di Le Corbusier e Terragni, che ha mostrato, in particole, come, anche nei casi più delicati di trasformazione di un luogo, la pregnanza del risultato possa prescindere dall’assonanza e omogeneità linguistica fra nuovo e contesto. E, in questo intento, la stessa spazialità e lo stesso linguaggio di riferimento sono stati da Meier alquanto estesi, risolti in un’ardita ibridazione sia col “brutalismo” sia con la “decostruzione” neoplastica. C’è da notare che l’insegnamento di Le Corbusier sullo spazio come luogo di armonico e drammatico conflitto, di coagulo di “differenze”, è stato, ed è ancora, fondamentale, e non solo e non tanto per quegli architetti, come Meier, che ne assumono anche l’aspetto linguistico-espressivo. Lo spazio “ludico” di Stirling, parafrasa quello “indicibile” lecorbusierano, proponendone sostanzialmente gli stessi principi, ad esempio, oltre alla pianta libera, quello dei “tracciati regolatori”. . L’architettura di Rem Koolhaas, basata su contrasti duri e secchi, privi di affettività ma affascinanti per la loro fredda mirabolanza, sembra l’anello di connessione fra la complessità architettonica giocata sulla metafora urbana, degli anni ’60-90 e i più recenti, nuovi orientamenti. Molto chiaro al proposito è stato il percorso di Peter Eisenman, teso a prefigurare per l’architettura un ruolo culturale alternativo a quello tradizionale, “rappresentativo” di ordine e razionalità. Dopo aver rivisitato il razionalismo di Terragni in chiave di caos sintattico, Eisenman ha centrato il problema principale ma “rimosso”, dell’architettura: quello della visione. Il “classico” impianto spaziale, su basi prospettiche, non corrisponde più alle nuove sensibilità visive indotte dai media elettronici: noi ora vediamo forme “sfocate”, rispetto al preesistente, al contesto, ma fortemente emozionali. Su basi culturali simili operano tendenze di larga presa internazionale che, rimossi oltre alla storia anche i linguaggi e le scritture, lavorano, in particolare, su ammassi energetici, fluttuanti, formanti spazio e materia magmatica, informe o cristallizzata, la cui definizione in alcune, più ardite sperimentazioni è demandata in modo casuale al Dio- computer. Nei paesaggi di Zaha Hadid, di Un Studio, di Eisenman, di Libeskind, e anche in parte di Ghery, gli elementi del contesto preesistente tendono a funzionare come testimoni, a volte attoniti, di una epifania dell’origine. Inoltre, questa produzione persegue una suadente risonanza con i sensi dei fruitori; oltre ad una coinvolgente articolazione spaziale, presenta spesso soluzioni di finitura sofisticate, connesse a un uso tecnologicamente aggiornato di materiali: filigrane, vibrazioni, effetti cangianti…, abilmente riecheggianti un mondo fenomenico di là dal contingente. La fascinazione è accentuata dai veicoli principali delle immagini architettoniche: i siti internet e le riviste specializzate, per cui, specie presso i giovani, il fenomeno tende a essere assimilato in modo fondamentalmente istintuale.
2006
88-86599-87-0
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