Il localismo bancario tende ad essere rappresentato abbinando dimensioni contenute e radicamento territoriale, con ripercussioni favorevoli in termini di maggior vicinanza al mercato e di sua migliore conoscenza nonché, in ultima analisi, riflessi vantaggiosi sulla qualità dell’attivo; alle banche maggiori, per contro, si attribuiscono le potenzialità implicite nelle economie di scala, che si perseguono anche mediante processi di aggregazione e che si giustificano agevolmente alla luce della globalizzazione da tempo in atto nel sistema finanziario. Tuttavia, non possono nascondersi le riserve che sono emerse da studi empirici, focalizzati sulla possibilità di approfittare di tali economie in concreto da parte degli intermediari finanziari, e, comunque, non risulta necessariamente ridotta la caratura delle banche locali. I dati su base regionale pubblicati dalla Banca d’Italia forniscono spunti di riflessione di estremo interesse ai fini dell’analisi del rapporto fra sistema bancario e contesto di riferimento nelle singole realtà, dalle quali emergono condizioni variegate di domanda e offerta nel campo della finanza, in particolare a servizio della produzione. I segnali preoccupanti, che hanno cominciato a manifestarsi dal 2007 nel quadro macro-economico, spingono a interrogarsi in merito al ruolo che le banche – e, in particolare, quelle locali – possono svolgere per alimentare il circolo virtuoso destinato a trasformare la ricchezza in sviluppo; fra l’altro, meritano apprezzamento gli interventi storicamente realizzati dalle fondazioni bancarie, che hanno valorizzato singoli territori come “luoghi di fermento”, dove hanno visto la luce e attecchito nuovi modi di fare impresa, di attivare competenze e di creare solido capitale umano. Mentre i “flussi” interagiscono sempre più diffusamente con i “luoghi”, la banca locale resta insostituibile nel supportare nelle alterne fasi cicliche i sistemi produttivi nei quali va ravvisato il suo mercato d’elezione e per i quali essa non occasionalmente si è candidata a “banca di sviluppo” o “banca di frontiera”. Se, dunque, il contributo del localismo bancario all’efficienza allocativa non va minimizzato, quanto meno l’alternativa tra l’approccio global e quello local può ritenersi stemperata dall’approccio glocal, quale proverbiale via di mezzo che merita di essere privilegiata per agevolare il progresso coordinato degli intermediari bancari e delle rispettive delle aree di insediamento: in definitiva, il radicamento nel territorio pare utile – se non indispensabile – nel perseguirvi la creazione di valore e il suo mantenimento nel tempo.

Banche e territorio

MORI, MARGHERITA
2009-01-01

Abstract

Il localismo bancario tende ad essere rappresentato abbinando dimensioni contenute e radicamento territoriale, con ripercussioni favorevoli in termini di maggior vicinanza al mercato e di sua migliore conoscenza nonché, in ultima analisi, riflessi vantaggiosi sulla qualità dell’attivo; alle banche maggiori, per contro, si attribuiscono le potenzialità implicite nelle economie di scala, che si perseguono anche mediante processi di aggregazione e che si giustificano agevolmente alla luce della globalizzazione da tempo in atto nel sistema finanziario. Tuttavia, non possono nascondersi le riserve che sono emerse da studi empirici, focalizzati sulla possibilità di approfittare di tali economie in concreto da parte degli intermediari finanziari, e, comunque, non risulta necessariamente ridotta la caratura delle banche locali. I dati su base regionale pubblicati dalla Banca d’Italia forniscono spunti di riflessione di estremo interesse ai fini dell’analisi del rapporto fra sistema bancario e contesto di riferimento nelle singole realtà, dalle quali emergono condizioni variegate di domanda e offerta nel campo della finanza, in particolare a servizio della produzione. I segnali preoccupanti, che hanno cominciato a manifestarsi dal 2007 nel quadro macro-economico, spingono a interrogarsi in merito al ruolo che le banche – e, in particolare, quelle locali – possono svolgere per alimentare il circolo virtuoso destinato a trasformare la ricchezza in sviluppo; fra l’altro, meritano apprezzamento gli interventi storicamente realizzati dalle fondazioni bancarie, che hanno valorizzato singoli territori come “luoghi di fermento”, dove hanno visto la luce e attecchito nuovi modi di fare impresa, di attivare competenze e di creare solido capitale umano. Mentre i “flussi” interagiscono sempre più diffusamente con i “luoghi”, la banca locale resta insostituibile nel supportare nelle alterne fasi cicliche i sistemi produttivi nei quali va ravvisato il suo mercato d’elezione e per i quali essa non occasionalmente si è candidata a “banca di sviluppo” o “banca di frontiera”. Se, dunque, il contributo del localismo bancario all’efficienza allocativa non va minimizzato, quanto meno l’alternativa tra l’approccio global e quello local può ritenersi stemperata dall’approccio glocal, quale proverbiale via di mezzo che merita di essere privilegiata per agevolare il progresso coordinato degli intermediari bancari e delle rispettive delle aree di insediamento: in definitiva, il radicamento nel territorio pare utile – se non indispensabile – nel perseguirvi la creazione di valore e il suo mantenimento nel tempo.
2009
978-88-449-0428-9
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