Le trasformazioni del ‘900 hanno toccato profondamente anche l’industria del libro e in particolare del libro scolastico, con mutamenti nei gusti e nella cultura dei fruitori legati anche alla fine dell’analfabetismo. Dopo e accanto alla storia della grande editoria del nord Italia si va sempre più confermando, per una storia della tipografia e dell’editoria, l’importanza degli studi locali capace di mettere in luce la complessa articolazione produttiva e commerciale del libro in un Paese policentrico come l’Italia. Lo mostra il volume “Tipografia e editoria in Abruzzo e Molise. Il XX secolo” (atti del convegno Teramo – L’Aquila 25-27 maggio 2005, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007) che esamina, tra l’altro, un settore meno noto dell’editoria libraria e periodica qual è quello scolastico. Proprio su quest’ultimo settore si è concentrato il mio saggio "Il panorama editoriale scolastico del Novecento in Abruzzo", che fin dal titolo induce subito a una riflessione. Di fatti è lecito chiedersi se per l’Abruzzo sia corretto parlare di editoria scolastica, almeno per la prima metà del Novecento quando i tipografi- editori abruzzesi, tranne in rari casi (Carabba e Vecchioni), non riescono ancora a elaborare un prodotto che rappresenti il risultato di un disegno culturale autonomo in cui lo stesso tipografo è parte attiva. Del resto parlare di editoria scolastica vuol dire proprio pensare a un prodotto editoriale intorno a cui costruire una strategia di vendita, un prodotto pensato per i vari gradi di formazione scolastica e/o di appoggio all’insegnante. È quindi chiaro che, quando parliamo di editoria scolastica abruzzese primonovecentesca, non ci riferiamo a una simile strategia editoriale anche per la mancanza di interlocutori in loco (non dimentichiamo che a quarant’anni dall’unificazione, nel 1911, l’analfabetismo in regione riguardava ancora il 57,0% della popolazione, con il 63,1% di analfabeti a Chieti, il 65,8% a Teramo e il 44,9% all’Aquila. Ci riferiamo invece a un’esigenza episodica, che nasce in alcuni stampatori più avvertiti, di operare qualche tentativo in un campo che aveva risvegliato l’appetito di molti editori italiani convinti di trovarvi una fonte sicura di guadagno. Chiaramente tale genere editoriale diventa l’anello debole di una produzione più vasta e diversificata e, in genere, cessa del tutto dopo il 1926 a causa della stretta censura fascista sui libri di testo. Fanno eccezione la Vecchioni dell’Aquila ma soprattutto la Carabba di Lanciano, uniche case editrici primonovecentesche che presentino i caratteri di vere aziende editoriali con disegni programmatici e collane editoriali. Un intero capitolo è dedicato proprio all’attenta analisi dei testi scolastici carabbiani, soprattutto relativi al periodo fascista, che mostra una particolare attenzione riservata dall’editore frentano alle direttive del regime in materia scolastica. L’analisi ripercorre il difficile e tormentato cammino dei testi scolastici della Carabba sottoposti alla revisione della Commissione Centrale per l’esame dei libri di testo. Tale Commissione, che nel 1923 sotto la direzione di Lombardo Radice aveva dato l’avvio a un momento rigoglioso per i testi scolastici, negli anni successivi e sotto la presidenza di commissari più allineati si rivelò uno strumento di controllo del regime fascista fino ad arrivare, nel 1930, all’adozione del testo unico di stato che entrò prepotentemente nella vita scolastica italiana anche contro la volontà dello stesso Lombardo Radice. Mentre molte case editrici furono messe in crisi da tale scelta, la Carabba anche in questo frangente riuscì a districarsi egregiamente almeno fino al 1935, quando la crisi esplose anche per questa prestigiosa casa editrice abruzzese e il governo, preoccupato delle conseguenze sociali che avrebbero fatto seguito al fallimento, decise un intervento straordinario che, tuttavia, servì soltanto a rimandare di qualche anno la chiusura definitiva. Nel 1950 la Casa editrice verrà dichiarata definitivamente fallita La seconda parte del saggio è dedicata all’analisi dell’editoria scolastica abruzzese dopo il 1960 quando, riorganizzati la vita civile e gli studi, lo scolastico entra nella vita editoriale più articolata di alcune case editrici abruzzesi, con collane programmatiche e progetti editoriali ben costituiti, diventandone talvolta l’esclusiva attività. In quest’ultimo caso siamo in presenza di un’editoria di nicchia che si concentra in particolar modo sul settore dell’aggiornamento degli insegnanti e delle politiche educativo didattiche, riuscendo così a preservare le case editrici abruzzesi dall’agguerrita e sempre presente concorrenza delle edizioni settentrionali.

Il panorama editoriale scolastico del Novecento in Abruzzo

MILLEVOLTE, Giovanna
2007-01-01

Abstract

Le trasformazioni del ‘900 hanno toccato profondamente anche l’industria del libro e in particolare del libro scolastico, con mutamenti nei gusti e nella cultura dei fruitori legati anche alla fine dell’analfabetismo. Dopo e accanto alla storia della grande editoria del nord Italia si va sempre più confermando, per una storia della tipografia e dell’editoria, l’importanza degli studi locali capace di mettere in luce la complessa articolazione produttiva e commerciale del libro in un Paese policentrico come l’Italia. Lo mostra il volume “Tipografia e editoria in Abruzzo e Molise. Il XX secolo” (atti del convegno Teramo – L’Aquila 25-27 maggio 2005, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007) che esamina, tra l’altro, un settore meno noto dell’editoria libraria e periodica qual è quello scolastico. Proprio su quest’ultimo settore si è concentrato il mio saggio "Il panorama editoriale scolastico del Novecento in Abruzzo", che fin dal titolo induce subito a una riflessione. Di fatti è lecito chiedersi se per l’Abruzzo sia corretto parlare di editoria scolastica, almeno per la prima metà del Novecento quando i tipografi- editori abruzzesi, tranne in rari casi (Carabba e Vecchioni), non riescono ancora a elaborare un prodotto che rappresenti il risultato di un disegno culturale autonomo in cui lo stesso tipografo è parte attiva. Del resto parlare di editoria scolastica vuol dire proprio pensare a un prodotto editoriale intorno a cui costruire una strategia di vendita, un prodotto pensato per i vari gradi di formazione scolastica e/o di appoggio all’insegnante. È quindi chiaro che, quando parliamo di editoria scolastica abruzzese primonovecentesca, non ci riferiamo a una simile strategia editoriale anche per la mancanza di interlocutori in loco (non dimentichiamo che a quarant’anni dall’unificazione, nel 1911, l’analfabetismo in regione riguardava ancora il 57,0% della popolazione, con il 63,1% di analfabeti a Chieti, il 65,8% a Teramo e il 44,9% all’Aquila. Ci riferiamo invece a un’esigenza episodica, che nasce in alcuni stampatori più avvertiti, di operare qualche tentativo in un campo che aveva risvegliato l’appetito di molti editori italiani convinti di trovarvi una fonte sicura di guadagno. Chiaramente tale genere editoriale diventa l’anello debole di una produzione più vasta e diversificata e, in genere, cessa del tutto dopo il 1926 a causa della stretta censura fascista sui libri di testo. Fanno eccezione la Vecchioni dell’Aquila ma soprattutto la Carabba di Lanciano, uniche case editrici primonovecentesche che presentino i caratteri di vere aziende editoriali con disegni programmatici e collane editoriali. Un intero capitolo è dedicato proprio all’attenta analisi dei testi scolastici carabbiani, soprattutto relativi al periodo fascista, che mostra una particolare attenzione riservata dall’editore frentano alle direttive del regime in materia scolastica. L’analisi ripercorre il difficile e tormentato cammino dei testi scolastici della Carabba sottoposti alla revisione della Commissione Centrale per l’esame dei libri di testo. Tale Commissione, che nel 1923 sotto la direzione di Lombardo Radice aveva dato l’avvio a un momento rigoglioso per i testi scolastici, negli anni successivi e sotto la presidenza di commissari più allineati si rivelò uno strumento di controllo del regime fascista fino ad arrivare, nel 1930, all’adozione del testo unico di stato che entrò prepotentemente nella vita scolastica italiana anche contro la volontà dello stesso Lombardo Radice. Mentre molte case editrici furono messe in crisi da tale scelta, la Carabba anche in questo frangente riuscì a districarsi egregiamente almeno fino al 1935, quando la crisi esplose anche per questa prestigiosa casa editrice abruzzese e il governo, preoccupato delle conseguenze sociali che avrebbero fatto seguito al fallimento, decise un intervento straordinario che, tuttavia, servì soltanto a rimandare di qualche anno la chiusura definitiva. Nel 1950 la Casa editrice verrà dichiarata definitivamente fallita La seconda parte del saggio è dedicata all’analisi dell’editoria scolastica abruzzese dopo il 1960 quando, riorganizzati la vita civile e gli studi, lo scolastico entra nella vita editoriale più articolata di alcune case editrici abruzzesi, con collane programmatiche e progetti editoriali ben costituiti, diventandone talvolta l’esclusiva attività. In quest’ultimo caso siamo in presenza di un’editoria di nicchia che si concentra in particolar modo sul settore dell’aggiornamento degli insegnanti e delle politiche educativo didattiche, riuscendo così a preservare le case editrici abruzzesi dall’agguerrita e sempre presente concorrenza delle edizioni settentrionali.
2007
978-88-498-1708-9
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