Viene presentato un caso di cisti primordiale gravemente destruente del ramo e del corpo mandibolare in un soggetto affetto da Sindrome di Gorlin, in cui si è ricorsi ad un trattamento chirurgico conservativo della neoformazione. Vengono analizzate le tecniche diagnostiche che hanno permesso un tale approccio chirurgico, che è possibile definire “radicale non demolitivo”. Il risultato ottenuto di una guarigione clinica totale che si è mantenuta stabile a distanza di due anni e mezzo si presta a numerose considerazioni: 1) Sulla possibilità di eseguire interventi chirurgici “radicali non demolitivi” in neoformazioni ad aggressività locale qualora venga seguito un protocollo diagnostico volto a definire, nella maniera più approfondita, l’interessamento della componente scheletrica e dei tessuti molli con gli strumenti diagnostica oggi a disposizione, utilizzati ai limiti massimi delle potenzialità, come abbiamo potuto osservare in una casistica specifica. 2) Sulla possibilità di avvalersi di tale metodica chirurgica anche in gravi sindromi displasiche. 3) Sul potere osteogenetico del periostio mandibolare che, nel caso specifico, pur ridotto nella sua estensione per l’azione deostruente ed infiltrante della neoformazione, ha permesso una ricostruzione globale della emimandibola interessata. 4) Sulle prospettive che, con uno studio approfondito del fenomeno, possono aprirsi in tema di riparazione di perdite di sostanza ossea mandibolare.

Orientamenti clinici e terapeutici per il trattamento di un caso di cheratocisti destruente della mandibola

CUTILLI, Tommaso
1994-01-01

Abstract

Viene presentato un caso di cisti primordiale gravemente destruente del ramo e del corpo mandibolare in un soggetto affetto da Sindrome di Gorlin, in cui si è ricorsi ad un trattamento chirurgico conservativo della neoformazione. Vengono analizzate le tecniche diagnostiche che hanno permesso un tale approccio chirurgico, che è possibile definire “radicale non demolitivo”. Il risultato ottenuto di una guarigione clinica totale che si è mantenuta stabile a distanza di due anni e mezzo si presta a numerose considerazioni: 1) Sulla possibilità di eseguire interventi chirurgici “radicali non demolitivi” in neoformazioni ad aggressività locale qualora venga seguito un protocollo diagnostico volto a definire, nella maniera più approfondita, l’interessamento della componente scheletrica e dei tessuti molli con gli strumenti diagnostica oggi a disposizione, utilizzati ai limiti massimi delle potenzialità, come abbiamo potuto osservare in una casistica specifica. 2) Sulla possibilità di avvalersi di tale metodica chirurgica anche in gravi sindromi displasiche. 3) Sul potere osteogenetico del periostio mandibolare che, nel caso specifico, pur ridotto nella sua estensione per l’azione deostruente ed infiltrante della neoformazione, ha permesso una ricostruzione globale della emimandibola interessata. 4) Sulle prospettive che, con uno studio approfondito del fenomeno, possono aprirsi in tema di riparazione di perdite di sostanza ossea mandibolare.
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