Quello di Fortebraccio Teatro è un lavoro che, negli anni, ha intessuto un ricamo sempre più raffinato tra la dimensione sonora e quella visiva dello spettacolo. Affidata al compositore Gianluca Misiti e alla trama vocale di Roberto Latini, la tessitura sonora non è a servizio di un semplice musicale, anche laddove sembrerebbe sospinta da strutture armoniche accattivanti, per non dire consolatorie. Lo spazio sonoro si articola in cicli di tensione e livelli di rilassamento con l’ausilio di complesse microfonazioni, l’uso di effettistica (delay, chorus, riverberi) e la restituzione della forma tridimensionale del suono (aurofonia ideata da Paolo Carrer per Desdemona e Otello sono morti – 2009). Ma è ne I giganti della montagna, e in maniera più evidente nel Cantico dei cantici, che il performer/dj Latini si fa medium di una parola altrui (proprio come un dj dietro una consolle) e allo stesso tempo creatore di una propria, sollecitando in chi osserva un cortocircuito di significati quando questi due elementi si dividono la stessa superficie. Le relazioni tra i suoni quindi sembrano avere maggiore dignità ontologica dei suoni stessi. Seguendo il filo delle riflessioni di Deleuze e Guattari, possiamo dire che la dimensione sonora degli spettacoli di Fortebraccio teatro appare come l’alternarsi di territorializzazioni e liberazioni, dove il tempo non è più spazializzato, graficizzato da segni formali, ma concepito piuttosto come un flusso immersivo. Si alternano quindi: da un lato un piano di organizzazione del suono, che trova compimento in quei momenti-concerto dalle temperature emotive incandescenti; dall’altro un senso di apertura nella direzione della molteplicità e della non-narratività, dove i suoni non sono meramente funzionali, ma enti di immaginazione, flussi indefiniti e continuum di intensità.
La dimensione sonora di Fortebraccio Teatro: tra articolazione territoriale e liberazione
doriana legge
2020-01-01
Abstract
Quello di Fortebraccio Teatro è un lavoro che, negli anni, ha intessuto un ricamo sempre più raffinato tra la dimensione sonora e quella visiva dello spettacolo. Affidata al compositore Gianluca Misiti e alla trama vocale di Roberto Latini, la tessitura sonora non è a servizio di un semplice musicale, anche laddove sembrerebbe sospinta da strutture armoniche accattivanti, per non dire consolatorie. Lo spazio sonoro si articola in cicli di tensione e livelli di rilassamento con l’ausilio di complesse microfonazioni, l’uso di effettistica (delay, chorus, riverberi) e la restituzione della forma tridimensionale del suono (aurofonia ideata da Paolo Carrer per Desdemona e Otello sono morti – 2009). Ma è ne I giganti della montagna, e in maniera più evidente nel Cantico dei cantici, che il performer/dj Latini si fa medium di una parola altrui (proprio come un dj dietro una consolle) e allo stesso tempo creatore di una propria, sollecitando in chi osserva un cortocircuito di significati quando questi due elementi si dividono la stessa superficie. Le relazioni tra i suoni quindi sembrano avere maggiore dignità ontologica dei suoni stessi. Seguendo il filo delle riflessioni di Deleuze e Guattari, possiamo dire che la dimensione sonora degli spettacoli di Fortebraccio teatro appare come l’alternarsi di territorializzazioni e liberazioni, dove il tempo non è più spazializzato, graficizzato da segni formali, ma concepito piuttosto come un flusso immersivo. Si alternano quindi: da un lato un piano di organizzazione del suono, che trova compimento in quei momenti-concerto dalle temperature emotive incandescenti; dall’altro un senso di apertura nella direzione della molteplicità e della non-narratività, dove i suoni non sono meramente funzionali, ma enti di immaginazione, flussi indefiniti e continuum di intensità.Pubblicazioni consigliate
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