Il paradossale materialismo bergsoniano, ripreso inconsapevolmente da Bazin, da Pasolini e da Benjamin e esplicitamente teorizzato da Deleuze, rappresenta una sorta di terza via, oggi per noi decisiva, tra le Scilla e Cariddi del pensiero filosofico contemporaneo. Da un lato abbiamo la strada fenomenologica, di cui da un po’ di tempo si denuncia il progressivo esaurimento, dall’altra la rinascita, in funzione antifenomenologica e antiermeneutica, di un’ontologia realista ingenua e dogmatica, in fondo positivista. Il materialismo che essa sbandiera è quello del “fatto che sussiste in se stesso” e che la scienza registrerebbe obiettivamente. Mi pare che il materialismo bergsoniano non solo possa costituire una terza via tra fenomenologia e realismo ingenuo, ma segni anche un ritorno possibile al senso proprio della pratica filosofica. La filosofia, infatti, se è filosofia e non chiacchiera erudita, deve avere come oggetto esclusivo l’assoluto: essa è la scienza speculativa dell’assoluto. E quando si dice assoluto, ab-solutus, s’intende una realtà sciolta dalla maniera umana, la realtà prima dell’uomo o dopo l’uomo. La terza via materialistica permette allora di restituire alla filosofia il suo antico oggetto. Questa mi pare la grande sfida che Bergson ha lanciato alla filosofia contemporanea e che Deleuze ha ripreso: provare a pensare, ancora una volta, un rapporto con l’assoluto che non venga a screziare l’assoluto stesso, riducendolo alla misura umana. In altre parole, si tratta di provare, ancora una volta, a farla finita con l’uomo.

Prima della coscienza: evento, materia e percezione nella filosofia di Bergson

RONCHI, ROCCO
2013-01-01

Abstract

Il paradossale materialismo bergsoniano, ripreso inconsapevolmente da Bazin, da Pasolini e da Benjamin e esplicitamente teorizzato da Deleuze, rappresenta una sorta di terza via, oggi per noi decisiva, tra le Scilla e Cariddi del pensiero filosofico contemporaneo. Da un lato abbiamo la strada fenomenologica, di cui da un po’ di tempo si denuncia il progressivo esaurimento, dall’altra la rinascita, in funzione antifenomenologica e antiermeneutica, di un’ontologia realista ingenua e dogmatica, in fondo positivista. Il materialismo che essa sbandiera è quello del “fatto che sussiste in se stesso” e che la scienza registrerebbe obiettivamente. Mi pare che il materialismo bergsoniano non solo possa costituire una terza via tra fenomenologia e realismo ingenuo, ma segni anche un ritorno possibile al senso proprio della pratica filosofica. La filosofia, infatti, se è filosofia e non chiacchiera erudita, deve avere come oggetto esclusivo l’assoluto: essa è la scienza speculativa dell’assoluto. E quando si dice assoluto, ab-solutus, s’intende una realtà sciolta dalla maniera umana, la realtà prima dell’uomo o dopo l’uomo. La terza via materialistica permette allora di restituire alla filosofia il suo antico oggetto. Questa mi pare la grande sfida che Bergson ha lanciato alla filosofia contemporanea e che Deleuze ha ripreso: provare a pensare, ancora una volta, un rapporto con l’assoluto che non venga a screziare l’assoluto stesso, riducendolo alla misura umana. In altre parole, si tratta di provare, ancora una volta, a farla finita con l’uomo.
2013
978-88-548-6455-9
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