L’articolo affronta, a partire dall’analisi di due cerimoniali rinascimentali legati all’ingresso di Margherita d’Austria a Firenze (1533) e all’Aquila (1569), il tema delle differenti percezioni dei linguaggi simbolici insiti nelle allegorie e nei contenuti degli emblemi e delle rappresentazioni. Molta storiografia sulle cerimonie rinascimentali ha in passato approfondito i livelli “alti” della comunicazione interna a questi cerimoniali: in questo lavoro, ripercorrendo anche le riflessioni di Paolo Giovio, si confrontano queste due fonti per cercare di mostrare quanto, sia il popolo che accorreva per gli ingressi dei principi, quanto le élite partecipassero, invece, di un sistema di valori e di identità molto più vicini tra loro di quanto possa sembrare, in una cesura che in realtà era solo tra litterati e illitterati, più che tra nobili e popolo. Il linguaggio del cerimoniale si configura così, anche in questo caso, come un linguaggio fortemente politico che ogni volta riformula il suo alfabeto tra eredità dall’antico e nuove letture del presente, alla ricerca di un consenso che mira solo al riconoscimento della sovranità.

The article analyses two renaissance ceremonies tied too the Margaret of Austria’s entrances in the cities of Florence (1533) and L’Aquila (1569) to cover the theme of different perceptions of symbolic languages within the allegories and other contents of emblems and representations in entrance processions. Much of the historiography concerning renaissance ceremonies have gone in-depth into the “high” levels of communication within ceremonies. In this work, calling often on Paolo Giovio’s reflections, two sources are compared to show exactly how much of they system of values and identity are much closer to both the elites and the normal people than one previously thought, with the distance forming between litterati e illitterati, rather than between nobility and the people. The ceremonial language is configured in this case as a strongly political language that each time reformulates its alphabet between the inheritance of the old and new readings of the present, in the search for a consensus who’s goal is only the recognition of sovereignty.

“Alli altri del vulgo lasciarete fantasticare col cervello”: linguaggi e alfabeti dei cerimoniali del Rinascimento

Silvia Mantini
2005-01-01

Abstract

L’articolo affronta, a partire dall’analisi di due cerimoniali rinascimentali legati all’ingresso di Margherita d’Austria a Firenze (1533) e all’Aquila (1569), il tema delle differenti percezioni dei linguaggi simbolici insiti nelle allegorie e nei contenuti degli emblemi e delle rappresentazioni. Molta storiografia sulle cerimonie rinascimentali ha in passato approfondito i livelli “alti” della comunicazione interna a questi cerimoniali: in questo lavoro, ripercorrendo anche le riflessioni di Paolo Giovio, si confrontano queste due fonti per cercare di mostrare quanto, sia il popolo che accorreva per gli ingressi dei principi, quanto le élite partecipassero, invece, di un sistema di valori e di identità molto più vicini tra loro di quanto possa sembrare, in una cesura che in realtà era solo tra litterati e illitterati, più che tra nobili e popolo. Il linguaggio del cerimoniale si configura così, anche in questo caso, come un linguaggio fortemente politico che ogni volta riformula il suo alfabeto tra eredità dall’antico e nuove letture del presente, alla ricerca di un consenso che mira solo al riconoscimento della sovranità.
2005
88-430-3047-7
The article analyses two renaissance ceremonies tied too the Margaret of Austria’s entrances in the cities of Florence (1533) and L’Aquila (1569) to cover the theme of different perceptions of symbolic languages within the allegories and other contents of emblems and representations in entrance processions. Much of the historiography concerning renaissance ceremonies have gone in-depth into the “high” levels of communication within ceremonies. In this work, calling often on Paolo Giovio’s reflections, two sources are compared to show exactly how much of they system of values and identity are much closer to both the elites and the normal people than one previously thought, with the distance forming between litterati e illitterati, rather than between nobility and the people. The ceremonial language is configured in this case as a strongly political language that each time reformulates its alphabet between the inheritance of the old and new readings of the present, in the search for a consensus who’s goal is only the recognition of sovereignty.
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